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Ortoterapia: la salute vien... zappando! |
articolo di Silvia Poletti
tratto da www.enotime.it
Ortoterapia: la salute vien... zappando!
Intervista al professor Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura ornamentale alla Facoltà di Agraria dell'Università di Milano
Dopo i benefici della pet-therapy - la terapia con i piccoli animali domestici - anche in Italia sta giungendo l'eco dell'efficacia di un'altra pratica basata sulla natura; si tratta dell'ortoterapia, traduzione nuova - e ancora piuttosto sconosciuta - del più collaudato originale anglosassone Horticultural Therapy. E infatti proprio nei Paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, ma anche Australia e Canada, la ricerca e la sperimentazione terapeutica in questo ambito hanno registrato i successi più significativi, con un incremento notevole delle pubblicazioni scientifiche sull'argomento e un diffuso interesse anche a livello di associazioni, gruppi di aiuto, comunità e singoli cittadini. Di cosa si tratta lo spiega la stessa etimologia, ma attenzione - avvertono gli esperti - a non confondere l'ortoterapia con una qualsiasi pratica finalizzata al raggiungimento di un generico benessere.
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In realtà l'Horticultural Therapy si applica a determinate, anche se numerose, categorie di disabilità o di disagio, psichico, fisico, sociale, (handicap fisici, malattie invalidanti, disagio psichico, anzianità, tossicodipendenze, reclusione, eccetera) per le quali la pratica del giardinaggio o la semplice visione di un paesaggio hanno sortito effetti benefici, osservabili clinicamente e capaci di ridurre una forte situazione di disagio o di limitazione psico-fisica. Prendersi cura di organismi vivi, magari in gruppo, stimola il senso di responsabilità e la socializzazione; combatte efficacemente il senso di isolamento e di inutilità in persone con handicap fisici molto gravi o negli anziani soli; a livello fisico sollecita l'attività motoria, migliora il tono generale dell'organismo e contribuisce ad attenuare stress e ansia. Molti studi hanno poi dimostrato che poter godere della vista di un paesaggio verde aiuta a sopportare meglio il dolore, la depressione, e addirittura stimola la ripresa dell'organismo in fase di convalescenza.
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Nei Paesi dove l'ortoterapia si è ormai guadagnata il crisma della scientificità, la progettazione di paesaggi, giardini e aree verdi secondo i suoi criteri, realizzata con la collaborazione tra architetti del paesaggio e ortoterapisti, è già una realtà. Dimensioni e orientamento del parco, presenza o meno di ostacoli, scelta delle piante più adatte, scelta degli strumenti di giardinaggio adeguati, costruzione di rampe per sedie a rotelle sono i compiti che spettano ai progettisti in vista dell'utilizzazione dell'area a fini terapeutici. I gardens nascono presso case private, scuole, ospizi, carceri, ospedali, centri educativi per giovani a rischio, ospedali psichiatrici, case famiglia, ma anche presso l'orto botanico cittadino o la società di orticoltura locale.
In Italia la strada è ancora tutta da percorrere, ma qualcosa, seppure ancora piuttosto rara, comincia a muoversi. Quanto si sta facendo e quanto resta da fare, lo abbiamo chiesto al professor Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura ornamentale alla Facoltà di Agraria dell'Università di Milano.
Professore, dov'è più praticata l'ortoterapia oggi?
"Sicuramente negli Stati Uniti, dov'è nata e dove già da dieci-quindici anni è studiata e praticata. Ma anche in Canada, Australia e recentemente in Giappone; in Europa si trova in Germania e in Inghilterra".
E in Italia?
"Si fa ancora molto poco; e quello che c'è nasce di solito dall'iniziativa individuale di persone particolarmente sensibili a questo tema, interessate a certi argomenti anche a causa di problemi personali, piuttosto che da un vero programma scientifico. Non esiste ancora in Italia un parco progettato ex novo secondo i criteri dell'ortoterapia; quel che c'è è stato realizzato utilizzando parchi e aree verdi preesistenti. Al momento, la Scuola Parco agrario di Monza organizza al suo interno visite di persone con handicap, specialmente ragazzi con sindrome di Down, e qualcosa si sta facendo a favore dei malati di Alzheimer, in Emilia-Romagna e Lombardia; un giardino per malati di Alzheimer è stato realizzato a Parma, uno in provincia di Varese e un altro è in programma a Mirandola (Modena). Si tratta, in tutti i casi, di parchi che sorgono entro cliniche e case di cura".
Perché questo ritardo più che decennale dell'Italia?
"E' un problema culturale. Noi italiani siamo stati i primi, anche volendo escludere i romani, a progettare il paesaggio, tra '400 e '500. Poi ce ne siamo improvvisamente dimenticati ed ora dobbiamo andare all'estero ad imparare".
Non crede che il rischio, ora che l'ortoterapia comincia a farsi conoscere, potrebbe venire da una certa connotazione non scientifica, di fenomeno alla moda, che in realtà non rende merito alla scientificità della pratica terapeutica?
"Credo di sì. Io stesso, all'inizio del mio lavoro in questo ambito, ho dovuto affrontare lo scetticismo un po' ironico di chi tendeva a considerarlo come tale; così inizialmente ho dovuto specificare che me ne sarei occupato più per interesse personale che per effettiva ricaduta scientifica. Ora sto cercando di condurre ricerche in collaborazione con personale medico in grado di integrare le mie competenze botaniche e studiare le ricadute psicofisiche della terapia su determinate categorie di disabilità".
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Dal punto di vista strettamente botanico, ci sono piante che si rivelano più di altre adatte a questa pratica?
"Sì; si può dire che lo sono tutte le piante da fiore e le piante aromatiche. Molto utili sono anche le piante con fogliame villoso, quelle cioè che hanno foglie pelose; al tatto danno sensazioni diverse dal solito, piacevoli, e si rivelano particolarmente adatte per esempio ai malati di Alzheimer e a tutte quelle persone che necessitano di un contatto vivo".
Ultima modifica il 27/09/2012